Da un po’ di tempo si sente parlare sempre più di “nuove dipendenze” (“new addictions”) per indicare nuove forme di “dipendenze comportamentali” distinte dall’abuso di sostanze. Tra queste si possono annoverare le dipendenze da: gioco d’azzardo, sesso, internet, cellulare, shopping compulsivo, lavoro, nonché le dipendenze affettive che vorrei approfondire in questo articolo.
E’ bene distinguere tra Disturbo Dipendente di Personalità e dipendenza affettiva, anche se presentano caratteristiche comuni e in alcune persone la seconda può manifestarsi come espressione del primo. Inoltre, come sottolinea Gabbard, in un individuo la diagnosi di disturbo dipendente di personalità raramente è posta come diagnosi principale o esclusiva. Vari studi hanno dimostrato l’esistenza di alte percentuali di comorbidità per i pazienti che soffrono di questo disturbo. Fra le condizioni frequentemente associate vi sono: il disturbo bipolare, la depressione maggiore, alcuni disturbi d’ansia e disturbi dell’alimentazione.
Mentre il Disturbo Dipendente di Personalità rientra nel Cluster C (cluster ansioso) dei Disturbi di Personalità, secondo la distinzione mantenuta nel DSM-5 (nella sezione II del Manuale), la problematica della dipendenza affettiva non è ad oggi classificata come vera e propria patologia nei vari sistemi diagnostici psichiatrici, suscitando comunque molto interesse in ambito clinico ed il fiorire di una ricca letteratura al riguardo.
Una delle sue maggiori studiose è la psicologa americana Robin Norwood che, a partire dalla fine degli anni Ottanta, ha scritto molte opere su questo tema e già precedentemente, un autore come Otto Fenichel, psicoanalista viennese, in un suo libro del 1945, parla per la prima volta di “amoridipendenti” per indicare quelle persone che hanno bisogno dell'amore come altre necessitano di droga o cibo. Secondo Fenichel, ma anche secondo la Norwood, si tratta di soggetti con scarsa capacità di amare, che richiedono continuamente più amore ottenendo però il risultato opposto.
Giddens, inoltre, la considera al pari di una dipendenza da sostanza, per cui, come con lo stupefacente, si prova ebbrezza con il partner che diventa indispensabile per stare bene, per cui si cercano “dosi” sempre maggiori della sua presenza e l'astinenza da lui è devastante.
È bene sottolineare che ogni persona mostra, in maniera diversa, un certo grado di dipendenza dagli altri; lo stesso bisogno di sentire l'approvazione e la validazione altrui è importante nella regolazione della propria autostima. Come scrive Lingiardi: “un’indipendenza autentica poggia sulla capacità di dipendere da altre persone, e di permettere ad altre persone di dipendere da noi. Dunque, più che di una polarità dipendenza-indipendenza sarebbe meglio parlare di dipendenze sane e dipendenze patologiche, definendo patologiche le forme «non negoziabili» di dipendenza o le pretese, eccessive e illusorie, d’indipendenza. Da una ricerca disperata dell’altro, visto come regolatore unico degli stati del Sé, a una fuga atterrita dall’altro, visto invece come minaccia alla propria integrità”.
Nel Disturbo Dipendente di Personalità viene appunto descritta una forma di dipendenza estrema e tale da essere considerata patologica. Secondo i criteri diagnostici del DSM-5, si manifesta, infatti, con “una necessità pervasiva ed eccessiva di essere accuditi, che determina comportamento sottomesso e dipendente e timore della separazione, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da cinque (o più) degli elementi sotto riportati:
1. Ha difficoltà a prendere le decisioni quotidiane senza un’ eccessiva quantità di consigli e rassicurazioni da parte degli altri.
2. Ha bisogno che altri si assumano la responsabilità per la maggior parte dei settori della sua vita.
3. Ha difficoltà ad esprimere disaccordo verso gli altri per il timore di perdere supporto o approvazione.
4. Ha difficoltà ad iniziare progetti o a fare cose autonomamente (per una mancanza di fiducia nel proprio giudizio o nelle proprie capacità piuttosto che per mancanza di motivazione o di energia).
5. Può giungere a qualsiasi cosa pur di ottenere accudimento e supporto da altri, fino al punto di offrirsi per compiti spiacevoli.
6. Si sente a disagio o indifeso/a quando è solo/a a causa dell’esagerato timore di essere incapace di prendersi cura di sé.
7. Quando termina una relazione intima, cerca con urgenza un’altra relazione come fonte di accudimento e di supporto.
8. Si preoccupa in modo non realistico di essere lasciato/a a prendersi cura di sé.”
Anche nella Dipendenza Affettiva si possono riscontrare molti di questi punti e soprattutto le paure dell’abbandono, della separazione, della solitudine. Anche in questo caso è bene precisare che quando ci si innamora, nelle primissime fasi è normale che ci sia un certo grado di dipendenza, una sorta di desiderio fusionale che però, con il procedere della relazione tende a scemare e a lasciare il posto ad un accrescimento reciproco. Nella dipendenza affettiva, invece, questo desiderio di fondersi con l'altro perdura, diventa un bisogno che conduce ad agire nel tentativo di realizzarlo.
Questi timori abbandonici portano a instaurare una relazione negativa, con relativo malessere psicologico e fisico, dalla quale non si riesce a uscire, come se non si potesse stare né senza né con la persona amata, in una sorta di ambivalenza affettiva-relazionale che già il poeta latino Ovidio aveva esemplificato nella sua massima “nec sine te nec tecum vivere possum”. “Non posso stare con te” a causa del dolore che si prova in seguito a ciò che si subisce nella relazione e “non posso stare senza di te” perché il solo pensiero di perdere la persona “amata” genera un'angoscia altrettanto dolorosa. Si assiste, così, ad una sorta di annullamento della persona che si ritrova invischiata in questa condizione, in una lenta agonia, in un loop ripetitivo dettato dalla completa dedizione al partner, al fine di perseguire esclusivamente il suo benessere e non anche il proprio, come dovrebbe essere in una relazione “sana”. Chi soffre di tale dipendenza è così attento a non ferire l'altro, da non rendersi conto di ferire gravemente se stesso tramite questa modalità relazionale.
Secondo la letteratura in merito, le principali caratteristiche della dipendenza affettiva sono:
- Difficoltà a riconoscere i propri bisogni e tendenza a subordinarli ai bisogni dell'altro.
- Atteggiamento negativo verso il Sé, profondo senso di inadeguatezza, convinzione che per essere amati bisogna sacrificarsi per l'altro per poterne ricevere l'amore, anche quando ciò comporta farsi del male.
- La paura di cambiare, timore di ogni possibile cambiamento, per cui si arresta lo sviluppo delle capacità personali e viene soffocato ogni desiderio e interesse personale; ci si occupa solo dell'altro affinché la relazione sia duratura.
- Inibizione: quando queste persone sono sole si sentono indifese, vuote, vivono nel terrore di essere abbandonate e quando una relazione stretta finisce sono realmente sconvolte.
Nelle persone che soffrono di questo tipo di dipendenza, possono emergere momenti di lucidità, accompagnati da rancore e rabbia, sulla dannosità della relazione in cui si trovano, ma il tutto viene quasi stroncato sul nascere dalla consapevolezza di essere dipendenti dall’altro. Il meccanismo di difesa prevalentemente usato, infatti, è la negazione: gli impulsi aggressivi vengono negati, in modo da salvaguardare il ruolo di sottomissione e non mettere in pericolo la relazione. E allora emergono le parole d'amore, a descrivere un amore unico, in un circolo vizioso e perpetuo, che a tratti assume anche le caratteristiche della codipendenza.
Effettivamente questo tipo di “amore” è particolare, è un amore atipico e la Dott.ssa Norwood, nel suo libro “Donne che amano troppo”, risponde in questo modo alla domanda se in questi casi si tratti di vero amore: “Se mai vi è capitato di essere ossessionate da un uomo, forse vi è venuto il sospetto che alla radice della vostra ossessione non ci fosse l’amore, ma la paura; noi che amiamo in modo ossessivo siamo piene di paura: paura di restare sole, paura di non essere degne di amore e di considerazione, paura di essere ignorate, o abbandonate, o annichilite. Offriamo il nostro amore con la speranza assurda che l’uomo della nostra ossessione ci protegga dalle nostre paure; invece le paure e le ossessioni si approfondiscono, finché offrire amore nella speranza di essere ricambiate diventa la costante di tutta la nostra vita. E, poiché la nostra strategia non funziona, riproviamo, amiamo ancora di più. Amiamo troppo.”
Queste paure hanno origini profonde, quali vuoti affettivi risalenti all'infanzia, e il partner assume il ruolo di “eroe”, che diventa l'unico scopo di vita e senza il quale la persona sente di non esistere (DuPont, 1998).
Caratteristiche epidemiologiche della dipendenza affettiva e alcuni tratti distintivi delle famiglie di origine delle persone che convivono con questa problematica:
Secondo la letteratura al riguardo, la dipendenza affettiva si manifesta maggiormente nelle femmine, in diverse fasce d'età (dalle post-adolescenti fino alle donne adulte con figli sia piccoli che grandi), e sembra diffusa in molti paesi del mondo.
Si pensa che spesso ci sia anche un elemento culturale, ossia uno stereotipo di genere, che favorisca questa maggior incidenza nel sesso femminile, considerandola più accettabile, a differenza del sesso maschile maggiormente “educato” a mostrarsi più forte e meno dipendente.
Secondo un'altra interpretazione, il motivo della differenza dell'incidenza della dipendenza tra i due generi, deriverebbe da un diverso modo di reagire ai traumi subiti. Tra gli uomini sarebbe più comune la tendenza a far fronte al dolore attraverso il meccanismo dell' “identificazione con l'aggressore”, che comporta l'assunzione del ruolo precedentemente subito, oppure la manifestazione del bisogno di una “dipendenza” attraverso l'abuso di sostanze. Nelle donne, invece, si manifesterebbe la maggior tendenza a rivivere le violenze subite, nel tentativo illusorio di controllarle e riscattarsi dal passato.
La dipendenza affettiva, infatti, spesso si riscontra in soggetti che hanno subito abusi o maltrattamenti (vi è una tendenza ad associarsi al Disturbo Post-Traumatico da Stress).
Secondo Lingiardi, “nell'abuso intrafamiliare si è osservato che, nonostante l'abusatore sia quasi sempre un maschio (padre, fratello, zio, amico di famiglia), è fondamentale la posizione che assume la madre della vittima: la presenza di un maschio abusante è spesso indicativa anche di un ambiente materno patologico”.
Secondo alcuni studi condotti sulle interazioni tra genitori e figli, i comportamenti di dipendenza risultano associati ad uno stile genitoriale ambivalente e incostante nel fornire accudimento, che determina nel figlio rappresentazioni di sé caratterizzate dal senso di vulnerabilità, che vengono interiorizzate e portano a mettere in atto comportamenti di dipendenza per assicurarsi la vicinanza della figura di riferimento.
Secondo la Norwood, le famiglie in cui sono cresciute le persone con una dipendenza affettiva, mostrano alcune particolari caratteristiche che le caratterizzano come “famiglie disturbate”. Tra queste:
- Mancanza di riconoscimento dei bisogni emotivi, delle percezioni e dei sentimenti del bambino, che di conseguenza tende ad adattarsi a quello che gli viene detto dalle sue figure di riferimento e a non fidarsi del proprio modo di sentire. Ciò comporta, appunto, una perdita di fiducia in sé stessi e una progressiva incapacità a riconoscere le situazioni e le persone potenzialmente dannose. Questi bambini vengono sminuiti nella loro capacità di comprendere i propri e altrui sentimenti e di mettersi correttamente in relazione con gli altri.
- Carenze di affetto autentico durante l'infanzia che tendono ad essere compensate, da grandi, attraverso un'identificazione con il partner, in un tentativo di salvarsi, tentando di cambiare il ruolo vissuto con i genitori.
- Presenza di violenza tra i genitori, anche sotto forma di tensione e litigi continui, che portano anche a lunghi periodi di tempo in cui rifiutano di parlarsi. Possono mettere in atto anche comportamenti contrastanti, in competizione l'uno con l'altra, per ottenere la complicità del figlio.
- Presenza di violenza tra genitori e figli, anche attraverso comportamenti sessuali scorretti fino al vero e proprio abuso.
- Un genitore incapace di avere rapporti normali con altri membri della famiglia e che li evita di proposito, dando loro la colpa del suo isolamento.
- Abuso di alcol o di droghe.
- Presenza di ossessioni e/o compulsioni che possono inficiare la sincerità e autenticità dei rapporti all'interno della famiglia, dando invece eccessivo valore all'obbedienza alle regole.
Possibilità di trattamento:
Il primo passo da compiere per chi soffre di dipendenza affettiva è ovviamente riconoscere di avere un problema, ma questo non è affatto semplice in una persona che ha interiorizzato determinati modelli d'amore che fanno credere che abusi e sacrifici di sé siano normali a fronte di un vuoto esistenziale di fondo.
Inoltre, la speranza in un cambiamento impossibile contribuisce a cronicizzare il disagio e la possibilità del cambiamento la si intravede solo nel momento in cui si raggiunge il fondo e si sperimenta la disperazione, con il crollo delle illusioni che hanno nutrito per lungo tempo questo tipo di legame patologico. Questo diventa il momento in cui forse è possibile intravedere e sfruttare una breccia tra le mura costituite dalle resistenze dietro le quali la persona è trincerata.
Tra le varie tipologie di intervento possibili, secondo vari studi risultano essere utili:
- La psicoterapia individuale, dove il paziente possa riconoscere il ruolo dipendente che ha assunto e costruire uno spazio di crescita personale scoprendo i propri tratti individuali anziché identificarsi con quelli dell'altro. Dove poter iniziare a considerare il proprio benessere psicologico come una priorità. Inoltre è utile osservare e valutare le dinamiche relazionali che si instaurano tra paziente e terapeuta, dove il paziente tende a rimettere in atto la dipendenza nei confronti della persona dello psicologo, affidandosi a lui.
Secondo Lingiardi, questa dipendenza “si basa su un’idea immodificabile dell’altro come oggetto nutriente esclusivo, o comunque molto idealizzato, e sempre a rischio di perdita, e su un’idea di sé come soggetto eternamente e assolutamente bisognoso, incapace di contribuire al proprio sostentamento e benessere”. Il soggetto dipendente non riesce a sviluppare un'adeguata capacità di autoregolazione e sembra vincolato in una perenne “eteroregolazione”, il che comporta un impegno dell'altro nella relazione. Questo, secondo Lingiardi, aiuta a capire “la facilità con cui un soggetto dipendente promuove, nelle relazioni terapeutiche e in ogni altra relazione significativa, dinamiche caratterizzate dall’identificazione proiettiva e capaci di produrre vissuti controtransferali di disprezzo talora anche venato di sadismo o, al contrario, di compiacimento collusivo derivato dalle gratificazioni prodotte dall’idealizzazione e dal senso di potere”.
Diventa quindi importante anche l’analisi di queste dinamiche di potere nella relazione terapeutica. - Gruppi di autoaiuto: le persone che vivono lo stesso problema, tramite il confronto, diventano degli importanti specchi reciproci che favoriscono la presa di consapevolezza della problematica che causa loro disagio, tramite l'osservazione delle somiglianze nelle loro vite. Tutto ciò può portare a trovare le motivazioni per uscire da queste relazioni tossiche, prendendo un impegno condiviso. Inoltre, questo di tipo di interazione alla pari può agevolare il superamento dei sentimenti di vergogna, colpa e fallimento che accompagnano queste donne che “amano troppo”.
- La terapia farmacologica di solito è indicata nel caso sia presente una sintomatologia depressiva e ansiosa. Spesso, infatti, la dipendenza affettiva porta a sviluppare i seguenti sintomi: ansia generalizzata, depressione, insonnia, inappetenza, malinconia, idee ossessive.
Concludo con l’augurio, rivolto a tutte le persone che si riconoscono in questo tipo di problematica, di imparare a conoscersi meglio, a “sentirsi”, a riscoprirsi o scoprirsi e a lottare per riappropriarsi della propria vita. Il percorso non sarà semplice né breve, ma quando inizierete a sentire i primi segni di quelli che mi piace definire “proponimenti di cambiamento” allora cavalcate l’onda, lottate per vivere il vostro ruolo da protagonista nella vostra vita.
Dott.ssa Viviana Russo - Psicologa
Bibliografia:
- Apa, DSM-5, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.
- DuPont R., Addiction: A New Paradigm. Bullettin of the Menninger Clinic, 1998.
- Fenichel O., Trattato di Psicoanalisi delle nevrosi e delle psicosi, Astrolabio, 1978.
- Gabbard G. O., Psichiatria Psicodinamica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2007.
- Giddens A., La trasformazione dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne, Il Mulino, 1995.
- Guerreschi C., New addictions. Le nuove dipendenze, Edizioni San Paolo, Milano, 2005.
- Lingiardi V., Personalità dipendente e dipendenza relazionale. In Caretti V., La Barbera D., Le dipendenze, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005.
- Lingiardi V., La personalità e i suoi disturbi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.
- Miller D., Donne che si fanno male, Feltrinelli, Milano, 1994.
- Norwood R., Donne che amano troppo, Feltrinelli, Milano, 2003.
- Ovidio, Amori, Garzanti, Milano, 2003.